Leavin’ Las Vegas, Nevada

4 set ’09.

La Disneyland degli AnzYani.
Com’è e come non è ci siamo alzati presto a Zion e in poco più di due ore ci siamo ritrovati a Las Vegas con un’ora in meno di fuso orario, pure.
Parcheggiamo l’auto al Planet Hollywood e camminando sotto finti cieli assolati attraversiamo un centro commerciale travestito da Hotel e poi ci affacciamo all’incluso Casinò. Si fuma! Le pareti sanno di fumo, le persone (tutti sopra i 50) sanno di fumo, i soldi vanno in fumo. Mi viene da vomitare. Esattamente come quella volta a Montecarlo (fratello Paolo ricordi bene, eh?): conati da ribrezzo.
Usciamo nel sole del deserto che arroventa la Strip: mai visti tanti “boobjobs” tutti insieme su donne di tutte le età, sulle anzYane fa molto più effetto, la pelle del collo che pare un’iguana e le tette alte e lisce come il culo di un neonato. Tutto finto a Las Vegas tutto a pagamento, tutto in movimento. Chi dice che la crisi qui ha colpito forte non ha visto quanti cantieri aperti e al lavoro ci sono.
Facciamo un salto al Bellagio, poi al Caesar’s Palace, poi basta che non se ne può più e i trasferimenti all’esterno sono intorno ai 40°.
Aeroporto: altre slot machines, non vorrete mica non perdere quegli ultimi dollàri che vi sono rimasti nelle tasche, no?
In atterraggio a SFO vedo windsurfisti sfrecciare nel vento teso della baia che vuol dire anche: 15° C e non di più. Da 40° a 15° in un’ora e mezza: nice, ain’t it?
E’ tardi, a cena si va a Union Square: un gran casino di gente per la strada, una band con chitarra, batteria, basso e percussioni all’angolo tra Powell st. e Union Sq. suona un sofisticatissimo funky jazz e la gente balla un po’ brilla un po’ perché fa un cazzo di freddo…
A domani.

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