Time flies – partenza da Los Angeles, California

11 set ‘09

Prima Classe.
Siamo al gate: ieri abbiamo ricevuto la conferma di avere i posti in Business Class che per un volo di dodici ore è un gran vantaggio, almeno io riesco a dormire un sei-sette ore; abbiamo fatto ieri pomeriggio il check-in on line e ho cambiato i posti per quelli in upper-deck: sopra è ancora più bello. Siamo tranquilli. Chiamano l’imbarco e al momento di passare l’addetto ci stoppa entrambe. Eccolo là ci hanno riportato in economica, il volo è pieno e … Ci danno le carte con i nuovi posti: 4A e 5A.
Sono avanti, molto avanti, allora è ancora business dice Chiara. Secondo me potrebbe addirittura essere First Class.
Ommioddìo.
E’ First Class.
Tornare da un viaggio bellissimo come questo in prima classe è un regalo che corona questi fantastici giorni.
La fortuna, quest’anno ha girato benissimo: quello scorso ci avevano addirittura sbarcato dall’economica e rinviato al giorno dopo, instradati attraverso un altro aeroporto addirittura.
Felicità a mille.
La mattina era stata trascorsa con “Aloura” e il suo amico niuiorchese, Ronnie, a Malibu tra chiacchiere e una specie di brunch di pre fine settimana. Ronnie fa il “driver” di produzioni cinematografiche e televisive a NYC, porta le Stars in giro per le location, in questi giorni è off duty in attesa di iniziare le riprese della sesta stagione di qualcosa con i pompieri a NY di cui non ricordo il nome.
E’ un tipo simpatico, un fisicaccio che oggi si cimenterà con la tavola sulle onde a Malibu: ma non riuscirà a fare meglio di me ieri, questo è sicuro.
Facciamo vedere le foto delle mie imprese sulla tavola ad Aloura che non riesce a credere che un italiano possa mettersi in piedi su di una longboard: chettecredi, oh? Noi ce semo cresciuti fra i garzilli.
A Ostia.
Ma sempre garzilli so’ e in certi casi, tipo quando c’è il libeccio, pure di un certo livello.
Mattinata piacevole, comunque: quanto ci piace parlare inglese a noi due, ci sentiamo tanto non-italiani e questo, per noi super snob, è il vero plus delle nostre vacanze.
Ora lo posso confessare: la prima sera a cena al Grand Canyon, al tavolo accanto c’era una coppia di italiani (borissimi, in realtà), tra noi abbiamo parlato in inglese.
Lo so fa un po’ schifo, però l’italianità di questi tempi è un peso e se si riesce a mimetizzarsi un po’ è meglio, almeno per noi.
E’ la fine di questo viaggio nel continente nordamericano, l’ennesimo, dopo tanto Canada (my favorite country ever) ritornati in Usa dieci anni esatti (the Bush Era) dopo la prima volta insieme.
Mi porto dentro un sacco di cose meravigliose: prima la pazienza di Chiara insieme alla sua perfetta organizzazione della logistica e alla sua scarsa dimestichezza con i quattro punti cardinali. I fantastici cieli stellati delle notti in Arizona e Utah e la unicità del Colorado Plateau che, mi ripeto, sembra un pezzo di Marte caduto sulla terra.
Le enormi spiagge della California e l’essere i Californiani così rilassati e tranquilli in tutte quelle occasioni in cui noi italiani riusciamo ad essere così insopportabili: le code al ristorante ad esempio, o il camminare sulla spiaggia.
La fortuna di poter fare esperienze come questa, come quelle fatte negli anni scorsi: incontrare persone diverse, scambiare esperienze, opinioni, visioni e guadagnare da ogni incontro, pur breve, un tassello da aggiungere alla propria conoscenza, limitata comunque, del mondo e delle sue diversità.
Mi porto dietro quasi 1600 scatti nei quali spero di essere riuscito a catturare anche solamente un pezzettino di tanta bellezza passata davanti ai nostri occhi.
Il mondo è meraviglioso, in questi casi.

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